Potrei presto dedicarmi ad un nuovo progetto che riguarda la Cripta delle mummie di Oria, i Santi Medici e altri santi ancora di Puglia. Ci sto pensando su. Intanto sono stato a visitare sia la cripta sia il santuario di San Cosimo alla Macchia.
Ci sono uomini e donne che credono di vivere anche dopo la morte, così come sono, conservando le loro fattezze e le loro occupazioni. Posto che la meta di costoro è l’immortalità, consegnano i loro corpi agli imbalsamatori. Nei secoli sono stati tanti, quasi in ogni parte del mondo. Italo Calvino ne parla in una delle sue Città Invisibili: Eusapia. È la città dei morti che apportano innovazioni tanto che da un anno all’altro non la si riconosce più, per quanto è cambiata. E succede quindi che l’Eusapia dei vivi ha preso a modello la città sotterranea.
Dicono che questo non è solo adesso che accade: in realtà sarebbero stati i morti a costruire l’Eusapia di sopra a somiglianza della loro città. Dicono che nelle due città gemelle non ci sia più modo di sapere quali sono i vivi e quali i morti.
Io dubito di essere in vita ogni volta che visito la cripta delle mummie di Oria. Perché loro sono senza spazio e tempo, all’interno dei quali noi ci troviamo: quelli racchiusi nella cripta siamo noi. C’è dunque molta più attività là sotto che non qui sopra. Le mummie conoscono il movimento, quello vero, non il nostro che è illusione. Sono i nostri pupari: ogni puparo si è spartito un certo numero di pupi di cui cura i gesti e le voci. Sono degli attori. Allora il nostro compito è di lasciarci usare con dolcezza sino al giorno in cui, si spera, non saremo buttati via come le marionette di Che cosa sono le nuvole di Pasolini.
Mi è capitato di accompagnarci un amico in questi giorni. Nella stessa mattinata abbiamo girato anche tra le cartapeste, le tele, gli argenti del museo diocesano. Qui i candelabri, gli ostensori, i piviali, gli antifonari e i Gesù Bambino benedicenti sono tutti gli strumenti di quelle grandi sacre rappresentazioni che devono tenersi sempre nell’Oria di sotto di cui ci è dato intravvedere qualcosa nella tradizione di “Scenni Cristu” ogni giovedì di Quaresima: la piccola processione dalla Chiesa di san Benedetto alla Cattedrale con il corpo del Cristo adagiato in un baldacchino, trenuli e trancasci e silenzio. L’abbiamo vista questa statua insieme a quella di un’altra processione che si tiene il Venerdì Santo, nell’androne soprastante la cripta, dove da secoli si riuniscono le consorelle e i confratelli dell’Arciconfraternita della Morte. Tra poco vedremo tutti loro portar fuori dalla Cattedrale i Santi Medici, la cui festa è vicina.
Se la Oria di sopra è un cantiere di cui i muratori sono gli abitanti della città di sotto, i capimastri sono i santi. Non è un caso se ogni città ha un santo protettore. Quello di Oria è san Barsanofio il cui carro contenente le ossa tradizione vuole che una volta arrivato ad Oria non abbia più voluto muoversi. È come se egli stesso abbia scelto i suoi protetti e non viceversa, come di solito accade.
E dov’è che faremmo meglio a cercarlo? Non certo per aria, ma sottoterra. Del resto, è la terra che fa il cielo. Noi ci troviamo tra di essi, nel mezzo. In questo posto, per non annoiarci, faremmo bene a raccogliere le storie dei muratori e dei capimastri. L’amico che si è lasciato accompagnare è uno scrittore e non è escluso che lo inviti a raccoglierle queste storie. Sarà un gran bel cantiere, ne varrà proprio la pena, magari ne parliamo presto, che dite? Anche perché servirà l’aiuto di molti.